Ronco del Gnemiz, dove produrre vino è prendersi cura della terra.

Ronco del Gnemiz, dove produrre vino è prendersi cura della terra.

Un gelso secolare si affaccia sui pendii vitati, come un guardiano, piegato dai venti che lo accarezzano. Il
ronco, traduzione friulana di “collina”, prende il suo nome da un’italianizzazione del nome Nemez (in
sloveno straniero o tedesco), poi un tocco di friulanità l’ha trasformato in Gnemiz.

Nel 1964 Jacopo Palazzolo acquistò Ronco del Gnemiz dal Conte di Trento, che all’epoca possedeva quasi
tutta la collina di Rosazzo, per farne la propria dimora, ammaliato dai vigneti che lo circondavano.
Oggi sono Serena Palazzolo e il marito Christian Patat, enologo, con l’aiuto dei figli Giovanni, Zeno e
Jacopo, a produrre vini di altissima qualità a Ronco del Gnemiz.

L’azienda da sempre è condotta in regime biologico: non vengono utilizzate sostanze chimiche di sintesi, né
diserbanti, a filari alterni viene seminato un mix di leguminose e crucifere, per mantenere suoli morbidi e
ricchi di sostanze organiche. Gli ettari vitati sono una dozzina, di cui sette di proprietà e gli altri in affitto,
nel comune di San Giovanni al Natisone, nei Colli Orientali del Friuli.



Quando gli chiediamo qual è la loro filosofia Christian ci racconta di non avere particolari tecniche
enologiche, più che altro l’attenzione ai dettagli è fondamentale per mantenere alto lo standard
qualitativo. Per esempio attraverso l’uso di persone formate, lavorando con una piccola cooperativa che si
occupa dei lavori in campagna, molto preparati e istruiti in modo da assicurare un lavoro in vigna accurato.
Inutile parlare di qualità in modo astratto, essa va ricercata nella pratica quotidiana.
“Fare vini buoni ormai è da tutti, fare vini più buoni dipende dalla cura dei dettagli.”

Avversari di un eccesso di varietà nei vigneti hanno tolto quelle che non interessavano, come pinot grigio e
ribolla gialla, concentrandosi su friulano, sauvignon e chardonnay, uve da vigneti storici con oltre 60 anni di
vita; tra i rossi hanno mantenuto cabernet franc, cabernet sauvignon e merlot, con cui fanno un vino
storico, il loro “Rosso del Gnemiz”, poi solo un po’ di schioppettino. Già troppe varietà.


“E’ impossibile che uno sia bravo a far tutto, ogni volta che finisci di vendemmiare un’uva e ne cominci
un’altra, devi cambiar testa, pensiero, è una sfida continua.”


Chiediamo come stanno reagendo alla siccità degli ultimi anni, se per loro è un problema.


Ci dice Cristian che l’irrigazione a loro non serve, in quanto hanno molte vigne vecchie, che sono sempre
equilibrate, anche in annate siccitose; usano irrigare solo le vigne giovani, solo due volte nell’anno di impianto.
La resa è bassissima, con una produzione è di 18.000 bottiglie all’anno, per mantenere alta la qualità questa è
una strada obbligata, alla ricerca di una concentrazione del frutto che dia non vini imponenti, ma saporiti, intensi,
specchio dell’obiettivo enologico che si sono dati.


I terreni collinari in quest’area sono composti di Ponca, termine friulano per definire una stratificazione di
marne e arenarie di origine eocenica. Ma Ponca è un concetto generico, la marna, nelle sue stratificazioni
di argilla e calcare, in alcuni punti mostra una predominanza argillosa, in altri, come nel vigneto dove
vediamo al lavoro il cavallo, è più calcarea e non è un caso che questa vigna antica, che è molto vicina allo
strato di calcare, dia origine ad un sauvignon che è il più nervoso, il più croccante tra i diversi prodotti. E
questo è dovuto solo al suolo perché la tecnica di vinificazione è la stessa su tutti i sei sauvignon. In alcuni
punti ci sono situazioni limose, suoli leggeri molto sciolti, il valore aggiunto è essere riusciti a capire negli
anni queste differenze nei suoli e cercare di farle ritrovare nei vini.


Mentre passeggiamo vicino alla cantina vediamo un cavallo da tiro che lavora tra i filari, immagine bucolica
che rimanda ai tempi antichi. Ci spiega Christian che la viticoltura biologica purtroppo costringe a volte ad
entrare spesso nel vigneto per fare i trattamenti di rame e zolfo. Con l’uso del cavallo per tutte le altre
lavorazioni si riduce al minimo il compattamente del suolo; anche questa è una pratica che stanno
introducendo e in cui credono molto, nonostante sia poco pubblicizzata.


I vini bianchi fermentano in barrique, senza malolattica e con decantazioni a freddo, di primo o secondo
passaggio per lo chardonnay, più vecchie per friulano e sauvignon. I vini rossi vengono prodotti con
macerazioni sulle bucce in acciaio seguite da una lunga permanenza in legno.

Principalmente imbottigliano mono varietali da singoli vigneti, solo il rosso è il tipico taglio bordolese:
all’inizio c’era prevalenza di merlot e poco cabernet franc oggi la percentuale di questo vitigno è cresciuta
fino ad arrivare al 60%, poi cabernet sauvignon e poco merlot giusto per dare rotondità.



Assaggiamo solo due sauvignon, per gli altri vini bisogna attendere il prossimo imbottigliamento…
Il primo assaggio è il Ronco del Gnemiz Sauvignon Blanc Sol 2021, vivace, sbarazzino, inebriante
ma un po’ irascibile, il classico ragazzino da domare, che però sai che se hai pazienza diventerà un
adulto con i fiocchi.
Il secondo è il Sauvignon Blanc Lozeta 2021 più equilibrato e pronto, con un naso delicato e
floreale, con qualche tocco di mela e salvia, buona struttura e grande mineralità. Il fratello
maggiore, quello più affidabile e tranquillo.

“Due vini così diversi nella loro unicità, plasmati dalla natura e dalle mani attente dell’uomo. Pur
vinificati nello stesso modo, il risultato è diverso, il frutto rispecchia le caratteristiche del terroir.
Christian si è comportato un po’ come fa un padre con i suoi figli, ha dato loro amore e cure lasciandoli
poi liberi di esprimersi al meglio…”

Az. Agricola Ronco del Gnemiz
Via Ronchi, 5
33048 San Giovanni al Natisone (UD)
Tel. 348 271 6725
serena@roncodelgnemiz.com
.http://www.roncodelgnemiz.com/

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